Casa-Studio Valle La Cultura nell'Abitare
A cura di: Tommaso Michieli e Filippo Saponaro
FOTO: Elia Falaschi
VistaCASA N° 101
Per la consueta rubrica A CASA DELL’ARCHITETTO gli architetti Tommaso Michieli e Filippo Saponaro, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Udine, hanno fatto visita a Piera Ricci Menichetti Valle, Pietro Valle e Francesca Medioli alla scoperta della storica casa-studio udinese.
Siamo a Udine, anche il più distratto dei passanti, entrando o uscendo da quell’importante spazio pubblico costituito da Piazza Primo Maggio, non può fare a meno di accorgersi di un edifico particolare all’angolo tra via Giovanni da Udine e via della Vittoria. Un edificio che silenziosamente fa percepire la sua presenza.
Anche per noi che sappiamo perfettamente di cosa si tratti, l’avvicinarci alla casa-studio Valle trasmette una sottile emozione ed un senso di rispetto decisamente particolare.
E’ da un lato ovvio che questo edificio, per chi è immerso nel mondo dell’architettura per lavoro come noi, rappresenti veramente un pezzo della storia dell’architettura ma, allo stesso tempo, l’energia che sprigiona influenza anche i non addetti ai lavori.
Non possiamo esserne certi, tuttavia dialogando con l’architetto Piera Ricci Menichetti Valle e con Pietro Valle, moglie e figlio di Gino Valle, leggiamo nel racconto di quando nel 1970 decisero di acquistare questa casa trasferendosi dall’appartamento in via Marinoni, una precisa volontà e strategia insediativa. Forse inconsapevole ma, a posteriori e vista da noi osservatori esterni, molto precisa.
La volontà prima di tutto, anticipando di molti anni la scoperta dei centri storici, di vivere in città, a differenza di quella che era la tendenza del periodo di costruire nuove abitazioni nella zona collinare udinese. La scelta inoltre di acquistare una casa con una precisa storia e frutto di successive aggregazioni di edifici costruiti in epoche differenti. La scelta di muoversi progettualmente non in campo aperto, su di un foglio bianco ma all’interno di vincoli spaziali già ben definiti, lavorando sullo spazio interno e sulla sua articolazione.
Unire abitazione e studio definisce inoltre una precisa direzione che si è deciso di dare alla propria quotidianità in cui vita privata e lavorativa si fondono in un continuum gestito unicamente dagli spazi e dai percorsi che permettono il cambio di ruolo.
Quando ciò succede, in Italia, è un periodo di fermento lavorativo e culturale importante.
Gli architetti rientrano nella cerchia degli intellettuali del Paese, costruiscono molto e si relazionano costantemente con artisti, pittori, scrittori, si scambiano idee e nascono amicizie. L’architetto ha ancora un ruolo importante, non solo di ideatore di edifici ma è anche la persona che è in grado, con il suo pensiero, di dare nuove interpretazioni del mondo, mettendolo spesso in discussione. Ecco che la scelta di abitare in un edificio recuperato, rappresenta un insieme di idee che vanno oltre l’architettura e che hanno a che fare anche con gli stili di vita e l’idea di vita stessa.
Sulla scorta di queste considerazioni del contesto socio-culturale, la decisione di collocare il proprio studio-abitazione in una posizione così evidente all’interno della città rappresenta il desiderio di evidenziare il proprio ruolo all’interno di una comunità. Rendersi presenti e manifesti, affermare di esserci, in maniera silenziosa, discreti ma presenti. Quasi da sembrare di esser sempre stati li. Questo è evidente già nella scelta di dipingere tutti i corpi di fabbrica di bianco, in maniera omogenea e complessiva. E così, con l’esclusione delle parti in pietra, tutto è tinteggiato di bianco: pareti, infissi, scuri, elementi lignei della copertura. Una scelta che potrebbe rifarsi al principio lecorbuseriano dell’architettura quale “forma pura sotto la luce”, in cui non è la cromia del materiale quanto la sua grana, il suo dettaglio, la variazione di luci e ombre a dare qualità all’edificio. Una architettura in stretta relazione e in interconnessione con l’ambiente urbano esistente che nella continuità fa percepire una sottile differenza.
Su questa sorta di nuova pagina vuota a quel punto è possibile introdurre il colore, che assume un ruolo completamente diverso. Il primo è quello delle porte, oggi tre, originariamente due, distinte con tre colori differenti: rosso, blu, verde. Rispettivamente studio, abitazione di Gino e Piera Valle e abitazione di Pietro Valle. Il colore non è decoro, non è vezzo ma è sistema di orientamento, una indicazione specifica per sé e per gli altri che sottolinea per tutti la diversità degli accessi e dei percorsi; un’indicazione per il visitatore che conoscendo il codice non potrà confondersi, allo stesso modo dei barcaioli di Burano che, conoscendo il colore della propria casa, erano in grado di ritrovarla facilmente nelle giornate di nebbia fitta. Se esternamente ci sono ingressi differenziati, l’interno è ricco di percorsi, dalla casa allo studio il percorso principale è attraverso una scala e il giardino; questi hanno quindi la funzione di spazio di decompressione, di trasformazione dei ruoli da padre-madre, marito-moglie in architetti. Anche se si è sempre architetti…
Essere amici di molti artisti, è una ricchezza; è qui che avviene la contaminazione: l’opera esterna di Carlo Ciussi, pur sembrando rappresentare semplicemente degli arcobaleni, in realtà non è altro che la risposta ad una precisa richiesta dell’architetto Gino Valle, il quale dopo avere uniformato sotto al bianco tutta la casa non riusciva a percepire la profondità del portico sul fronte principale che veniva, di fatto, appiattito. L’amico artista quindi si offre di realizzare un’opera necessaria a ristabilire il rapporto, appunto, tra figura e sfondo, opera che non è null’altro che la proiezione degli archi del portico, immaginiamo scomposti cromaticamente.
Varcata la porta dello studio si comprende immediatamente il senso di questi luoghi, che è di costante ed ininterrotta vitale trasformazione. Come dicevamo all’inizio, l’edificio non è un edificio ma la sommatoria di corpi di fabbrica che si sono aggregati nel tempo. Spazi che sono stati via via collegati e cuciti tra loro attraverso la rimozione di pareti per generare stanze passanti, l’apertura di varchi per connettere case diverse tra loro.
Entrando quindi dalla porta blu, è possibile, attraverso una scala, accedere al primo piano dove s’incontra l’abitazione oggi destinata all’architetto Piera Ricci Menichetti Valle. L’abitazione è articolata attorno al corpo scale, si attraversa un primo soggiorno per poi passare ad un secondo dotato di caminetto, da qui si accede superando tre gradini che denotano il passaggio tra corpi di fabbrica di epoche differenti alla sala da pranzo in adiacenza della quale oggi è stata ricavata una cucina. Il piano superiore ospita la zona notte. Dal soggiorno di cui sopra è possibile, questa volta scendendo alcuni gradini, accedere al corpo di fabbrica adiacente, oggi abitazione dell’architetto Pietro Valle e della moglie Francesca Medioli. Qui, al piano primo, si trovano una cucina abitabile e un salotto, mentre il piano terra è destinato a studiolo. Le camere si trovano anche in questo caso al secondo piano.
Da entrambi gli appartamenti è possibile accedere al giardino, che è il vero e proprio ingranaggio che articola le relazioni tra i diversi spazi. Infatti da questo è possibile raggiungere come detto le abitazioni ma anche lo studio e due altri spazi accessori, nello specifico un appartamento destinato a foresteria ed un piccolo edificio isolato, oggi destinato ad accogliere l’intero archivio dello studio Valle a partire dai primi disegni dell’architetto Provino Valle.
Lo studio è uno spazio fluido e aperto senza soluzione di continuità, all’interno del quale si comprende la precisa volontà di favorire un continuo scambio e la costante relazione tra le persone presenti. Uno spazio dinamico concepito come luogo di interazione. Spazio nel quale la luce è abbondante ed è chiaramente alleata imprescindibile per il quotidiano lavoro ai tavoli da disegno.
Si percepisce una continuità e fluidità di movimento attraverso le diverse stanze. Ci troviamo davanti ad una precisa dichiarazione che punta ad affermare come l’architettura sia materia viva e vitale, in costante mutamento, nel passato ed oggi. Emerge potente e silenziosa la stratificazione della vita, spazi e stanze sono ricchi di oggetti di epoche e stili diversi, oggetti di design, oggetti recuperati, altri regalati o attentamente acquistati ma sapientemente mescolati per raccontare la storia di una casa e di una famiglia.
La famiglia Valle usa lo spazio senza alcun timore e senza esserne condizionata, al contrario lo plasma su se stessa e sulla base delle proprie esigenze del momento. Lo manipola, apre, chiude, divide, riconfigura, connette, conquista. Sono le loro vite che condizionano gli spazi.
Il tema centrale che emerge dall’approccio al vivere questa casa è evidente nella scelta di considerare l’architettura come spazio neutro, architettura-palcoscenico la cui qualità è direttamente proporzionale alla flessibilità dello spazio e alla sua capacità di accogliere frammenti della vita. Una qualità dello spazio che è direttamente influenzata dalla qualità della vita dei suoi occupanti. Un percorso ricco di esperienze, viaggi, memorie, contatti della famiglia Valle che emergono prepotenti in ogni ambito della casa. La visita diviene una sorta di continuo attingere a memorie del passato, ricordi, eventi il cui racconto viene stimolato da ogni singolo oggetto, quadro, arredo presente nella casa. Oggetti che sono compagni di vita, memorie, che possono essere spostati da un posto all’altro della casa se cambiano le esigenze ma che mantengono inalterato lo spazio abitativo e la sua idea.
La casa ospita tutto questo, una sorta di cristallizzazione fisica della storia di una famiglia, un racconto e, allo stesso tempo, una dichiarazione sull’arte del vivere e del rapportarsi con lo spazio. C’è quasi una sorta di dichiarazione nella quale dopo una vita passata a progettare architetture con la A maiuscola in tutto il mondo, nel proprio privato, nel proprio intimo si può serenamente affermare che in fondo l’architettura è spazio, è luce, è connessione ed è esattamente e nulla più di quello che siamo noi.
OAPPC:
Grazie della preziosa conversazione
VistaCASA n.101
Published on May 3, 2021
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