INCONTRARE L’ARCHITETTURA
di: Tommaso Michieli e Filippo Saponaro
foto: Elia Falaschi
VistaCASA N° 97
Per la consueta rubrica “a casa dell’architetto” gli architetti Tommaso Michieli e Filippo Saponaro, per conto dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Udine, hanno fatto visita ad Aldo Peressa nella sua casa mulino. La conversazione ha toccato molti temi ecco alcune riflessioni.
La mattina è fredda e limpida, la via che porta al Mulino sembra progettata apposta per farti fare un leggero passo al di fuori dell’ordinario. Devi imboccare una strada bianca, percorrerla per un po’, superare un guado e procedere ancora fino a quando l’orizzonte si apre e compare un edificio antico. Un salto in una dimensione altra, diversa, più lenta.
Il Mulino è un piccolo tassello all’interno di un paesaggio ampio, una campagna ordinata un punto di osservazione su un territorio armonioso non intaccato dalla città, chiuso dalle montagne ner vivo all’orizzonte.
Aldo Peressa ci accoglie in modo informale, si comprende già da come è vestito il suo approccio pratico alla vita. Non c’è nulla più del necessario ma nulla è casuale.
Ci sediamo in cucina, immersi nella luce. Ci avvisa che è un po’ freddo, non usa l’impianto di riscaldamento ma solo un camino ed alcune stufe. Fin da subito non sentiamo freddo, il calore in una casa non è solo questione di temperatura.
Aldo dichiara immediatamente, che quella per l’architettura piuttosto che una passione è una malattia, una malattia ormai rara, che lo Stato con i suoi lacci, la crisi economica, la clientela sempre più tuttologa stanno ormai quasi debellando nei giovani architetti. E questa insania – dice Aldo Peressa – è il presupposto del fare Architettura, la sua ragione innocente. Un presupposto che occorre promuovere e tener ben vivo, soprattutto per le nuove generazioni. Questa casa stessa che ospita un circolo culturale è per lui strumento pratico per diffondere la qualità e la cultura architettonica al più ampio pubblico possibile.
Nel 2008 decide di ripartire, di dare una svolta alla sua vita, dopo una brillante carriera professionale a Padova, da buon friulano, sente il bisogno di tornare, di ricucire vecchi legami e di tessere nuove relazioni. E lo fa, sapendo che sarà un gioco economicamente a perdere ma non importa, mettendosi a cercare un luogo adatto. Il destino come sempre aiuta gli audaci e gli fa incontrare il Mulino, a due passi da Pozzuolo dove ha vissuto fino ai 9 anni, una sorta di ripartire dal VIA!
Acquista, davanti ad un mediatore incredulo, un rudere nel fitto di un bosco, consapevole che il posto è quello giusto. E … Comincia a togliere.
Si togliere è il principio cardine di tutto il progetto, portare all’essenza l’edificio a partire dalla sua volumetria, essenziale, gli architetti dicono stereometrica. Il che significa che i volumi in pietra costituenti i diversi corpi non devono essere disturbati da elementi in più, decorativi. E così via le linde in favore di nuovi tetti interni al volume, via i pluviali che sono incassati internamente, via i davanzali sostituiti con delle lisciature in cemento idrorepellente. Il tutto per cercare la purezza formale l’essenziale.
Il lavoro è stato lento e certosino, non c’era fretta, non dovrebbe essercene mai troppa. Si è andati avanti fino al 2014 quando la parte abitativa è stata completata mentre il resto dello spazio è stato unicamente messo in sicurezza. A tal proposito la scelta strutturale è stata quella che ha seguito il principio della casa dentro alla casa. Uno scheletro metallico è stato costruito all’interno dei volumi in pietra, sostenendo tutto il carico statico e lasciando alle antiche strutture murarie il ruolo di paramento sgravandole dal compito strutturale, quasi a ringraziarle per la fatica fatta per tanti anni e conceder loro il meritato riposo. Una struttura metallica che si manifesta sempre in tutta la casa, non si nasconde, fa compagnia anche mentre ci si fa la doccia.
Il volume vetrato che ospita a piano terra l’ampio soggiorno e la cucina è una memoria, la memoria di una tettoia che chiudeva la corte ma al momento dell’avvio del cantiere era completamente crollata, una assenza-presente, e per questo è in vetro per non aggiungere quanto per continuare a togliere.
Quello che affascina di questa casa è che pur essendo una casa contemporanea il dettaglio non è maniacale ed il difetto, il non finito, passano in secondo piano, si armonizzando sconfitti da luce e spazio.
E’ un’architettura contemporanea affrontata con serenità. E’ disegnata ma non lo sembra, non è un luogo intoccabile, è un luogo di vita. C’è attenzione evidente in ogni cosa ma c’è un tocco leggero, consapevole del momento in cui ci si può fermare che tanto il risultato è comunque raggiunto. E’ lo spirito del wabi sabi, la bellezza è data anche dalla crepa. Tutto ciò rappresenta una fondamentale lezione per chi ha la fortuna di sedersi in cucina a conversare.
Non c’è decoro, non è un tema preso in considerazione. In un mondo sempre più alla ricerca della plastica qui i materiali sono naturali, il legno, la pietra, il vetro, l’acciaio il cemento industriale. Non si lotta contro il tempo le cose si deterioreranno fa parte del ciclo della vita, è il suo fascino. Allo stesso tempo senza snobismo quando è sufficiente un elemento di IKEA per risolvere un mobile della cucina viene tranquillamente impiegato.
Nella consapevolezza che l’architettura governa gli spazi e li organizza molti sono gli armadi a muro gli incassi, così al solo soggiorno viene lasciata la possibilità di ospitare qualche pezzo di arredo.
Ma questa architettura lo sappiamo che non è architettura per tutti, è il frutto di una simbiosi profonda con chi la abita, un dialogo quotidiano nel quale l’architettura indica delle possibilità che solo un animo gentile può cogliere con la giusta delicatezza ed utilizzare la giusta tovaglia, il giusto contenitore per i mestoli non mettere nulla più di una lampadina se una lampadina è quello che serve. E’ un’architettura che richiede la quotidiana capacità di fermarsi un attimo prima di divenire invadenti. E’ un esercizio zen.
E’ un incontro. Tutta questa storia è un incontro. L’incontro di due architetti con un collega in una fredda mattina di febbraio, collega che racconta loro di quando ha incontrato quasi per caso un mulino che ha deciso di trasformare ma non troppo. Un luogo che ha l’obbiettivo di essere uno spazio dove incontrarsi condividere passioni, ammalarsi se possibile di quell’amore per l’architettura.
Ma soprattutto è il racconto di quel quotidiano incontro tra un uomo, lo spazio e la luce dove vive e la loro capacità di rispettarsi reciprocamente.

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