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PRENDERSI CURA

VistaCASA N° 100

Tommaso Michieli per conto dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Udine in questo numero ha deciso di andare ad indagare il senso più profondo della professione di architetto intervistando lo studio TAMassociati, da sempre impegnato attivamente nella realizzazione di progetti caratterizzati da un forte impegno etico.

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Padiglione Italia – Biennale Architettura 2016
Foto: Andrea Avezzù

INTERVISTA

La vostra visione del mestiere dell’architetto è di un qualcuno che prima di tutto “si prende cura” di una collettività. Potete approfondire questo concetto così chiave nel vostro lavoro?

Per rispondere a questa domanda ci piacerebbe iniziare citando un breve estratto del nostro statuto scritto nel 1990 che spiega in modo sintetico il nostro concetto di “prendersi cura”.

TAMassociati sostiene l’idea che le varie discipline di progetto debbano sempre contenere una propria rilevanza sociale, da orientarsi verso valori etici quali la convivenza pacifica, il corretto e sostenibile utilizzo delle risorse, una più omogenea distribuzione delle opportunità. A questo fine (…) promuove e privilegia, nella propria attività teorie e pratiche progettuali di tipo partecipativo e come mezzo per garantire validità, sostenibilità e legittimazione di risultati di questi processi. A questo fine (…) si impegna a promuovere la propria attività professionale prevalente a favore di “nonprofit”, le cui finalità siano prive di fini di lucro, di natura dichiaratamente sociale, tese alla promozione della dignità degli esseri viventi, indirizzate alla tutela ed al rispetto dell’ambiente” (Statuto studio TAMassociati 1990)

L’architettura nasce dalle idee prima che dalle forme. Progettare un edificio non significa solo rispondere ad esigenze funzionali ed estetiche ma creare luoghi del rispetto. Le forme sono conseguenza di un pensiero collettivo complesso, interprete di una visione del futuro che si sostanziano in un edificio. Tutto questo per noi significa “prendersi cura”.

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Centro Pediatrico di Port Sudan
Foto: Massimo Grimaldi

Il modus operandi segue un percorso suddiviso in pensare-incontrare-agire.
Potete raccontarci, attraverso esempi concreti di vostri lavori, come questo iter si sviluppa?

Sono tre gli aspetti principali su cui sviluppare una nuova progettualità e che noi abbiamo cercato di praticare in questi anni di “progettazione per il sociale”.
Il primo aspetto riguarda il rapporto tra risorse economiche e progetto.
È importante iniziare a considerare il budget, spesso vissuto come una limitazione, non più come ostacolo ma come occasione verso nuove forme di creatività. Una sorta di “economia di progetto” da affiancare a quella ambientale, in grado di generare un’architettura: sobria, essenziale, semplice, resiliente; che sappia coniugare bellezza ed efficienza, rispetto dell’ambiente e delle persone.
Nel prossimo futuro ecologia, economia e giustizia sociale dovranno accelerare il processo di convergenza verso uno stato di equità, facendo convivere elevati standard ambientali e disponibilità economiche. Il secondo aspetto riguarda il rapporto tra risorse ed estetica, che in un contesto di crisi significherà sempre più sviluppare un’attitudine alla sobrietà dell’azione progettuale. Approccio in linea con la grande tradizione del modernismo italiano. Semplificazione e razionalizzazione diventeranno interazione creativa finalizzata alla ricerca di soluzioni orientate verso una “nobile semplicità”; una sobrietà concettuale e costruttiva che metta l’accento sui caratteri di solidità e durabilità degli edifici.
Il terzo aspetto da approfondire riguarda il rapporto con la tecnologia. Fermo restando il ruolo strategico svolto dalla tecnologia, si auspica negli anni a venire un processo di razionalizzazione ed ottimizzazione che miri alla riduzione del superfluo al fine di migliorare il servizio e contestualmente ridurre i costi diretti ed indiretti. Un approccio estremamente pragmatico che miri innanzitutto a soluzioni passive di bassa manutenzione e facile uso che, riducendo all’essenziale le dipendenze tecnologiche, e che permetta di realizzare immobili e città duraturi e resilienti. A tali azioni, superando l’intrinseca fragilità dell’architettura contemporanea, dovrà corrispondere simmetricamente una maggiore sicurezza e durabilità degli edifici che li renda adatti ad affrontare le nuove condizioni a cui saranno soggetti a causa del cambiamento climatico.

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Centro di eccellenza in chirurgia pediatrica
di Entebbe Renzo Piano Building Workshop & TAMassociati

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Sede di Banca Etica a Padova
Foto: Andrea Avezzù

In questo momento di crisi sanitaria globale vedere come voi, da anni, siete impegnati su questo fronte, vi rende le persone più adatte a rispondere alla domanda: quali strategie e principi progettuali possono essere trasferiti dalle situazioni di crisi del sud del mondo, dove avete operato, al nostro contesto in fasi di sofferenza?

Questo è il momento dell’incertezza; momento in cui il nostro modello economico e culturale, di cui l’architettura è interprete, ha mostrato segni di profondissima crisi.
La globalizzazione, la genetica, la messa in discussione dell’antropocentrismo, delle verità scientifiche acquisite, della democrazia rappresentativa, impongono una riflessione sui principi etici che stanno alla base della nostra convivenza. Questo impone una critica radicale anche del fare architettura verso le generazioni che verranno. Dice Hans Jonas: “Il fatto che in avvenire debba esistere un mondo simile – un mondo adatto a essere abitato dall’uomo- e che debba essere abitato in qualunque futuro da un’umanità degna di questo nome, sarà senza esitazione riconosciuto come assioma generale o come persuasivo auspicio dell’immaginazione speculativa(…).
La presenza dell’uomo nel mondo era un dato originario e indiscutibile dal quale scaturiva ogni idea di dovere nel comportamento umano; adesso essa stessa è diventata un oggetto dell’obbligazione – e precisamente dell’obbligazione di assicurare per l’avvenire il presupposto fondamentale di ogni obbligazione, ossia la presenza di semplici candidati a un universo morale del mondo fisico. Questo significa tra l’altro conservare tale mondo in modo che restino intatte le condizioni di quella presenza, salvaguardandone cioè la loro vulnerabilità nei confronti della minaccia.”
Questa assunzione di responsabilità, come prospettato da Jonas, implica, per chi opera nel campo della progettazione, rimettere in discussione i principi fondativi della disciplina; recuperando quei valori che fanno di noi un aspetto della natura ci dovremo rapportare non soltanto con i nostri bisogni ed interessi sociali e fisici, ma anche con i significati intrinseci alla natura stessa.
In questo contesto è indispensabile ripensare alla progettazione come atto inclusivo e partecipativo. È giunto il momento di un’architettura silenziosa, inclusiva. Architettura di riconciliazione e sparizione.

Senza troppo timore dichiarate che l’obbiettivo dell’architettura è, dopo tutto, la felicità! Quali i passi per raggiungerla?

Immaginare un’architettura felice significa immaginare un architettura profondamente radicata nel genius loci di un luogo, inclusiva ma soprattutto responsabile e resiliente. Questo significa rispettare profondamente i luoghi, le persone, le tradizioni, le tecnologie radicate in quel contesto poiché è attraverso l’empatia con l’ambiente fisico e sociale che si genera un’architettura socialmente e fisicamente inclusiva e felice. In quest’ottica il progetto di architettura non si rappresenta nel disegno né nella sua concreta realizzazione, quanto piuttosto nell’ampliamento delle possibilità che individui e gruppi lo riconoscano, lo utilizzino e, soprattutto, lo vedano come elemento generativo di collettività. Un lavoro volto a dimostrare che l’architettura può ergersi a baluardo contro la marginalità e l’esclusione, diventando motore di nuove visioni per il futuro.

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Nuovo complesso parrocchiale di Varignano, Viareggio
Foto: Andrea Avezzù

Taking Care in Architecture

Taking Care in Architecture

TAMassociati designs, builds and tells small and large architecture with social, sustainable, and eco-simple values all over the world.

H. JONAS, Il principio di responsabilità.
Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi,
Torino 2002, p. 14

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VistaCASA n.100

Published on Vistacasa by BM Editore 
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Bimestrale di Cultura dell'Abitare del FRIULI VENEZIA GIULIA, Vistacasa

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